Chris è un giovane texano che passa il tempo tra rodei e tiro al bersaglio. Un cow boy della provincia che trova il suo motivo di vita quado gli Stati Uniti subiscono l’attacco alle torri gemelle. Decide di entrare nell’esercito per difendere la patria e dopo aver sposato Taya parte per il primo turno di guerra in Iraq. La sua straordinaria abilità di cecchino fa di lui ben presto una leggenda. Cosi per dieci anni Chris si divide tra scenari di guerra dell’Iraq, dove può mettersi al servizio degli altri e della patria ,e i periodi di riposo a casa, dove il ricordo delle battaglie non gli permette di vivere serenamente con la famiglia. Quando qualche suo commilitoni muore, comincia a capire che è tempo di smettere con la guerra, e il ritorno alla vita normale non sarà affatto semplice.
Una storia vera questa raccontata in questo film di Clint Eastwood, avvincente e che suscita emozioni e interrogativi. L’idea del racconto almeno per una buona parte è quella di una rappresentazione distaccata, come il protagonista appostato sui tetti vede e uccide i suoi bersagli a centinaia di metri di distanza. La distanza rende il compito quasi un videogioco, non si è sul territorio. Ma quando decide di entrare in prima linea allora la guerra si manifesta in tutto il suo orrore confermando che non esiste una guerra “pulita”.
Il tema che accompagna il racconto delle atrocità dei combattimento è quello del conflitto tra Chris e la moglie, che sembrano avere scopi diversi. Lui combatte per gli Stati Uniti e lei per il loro matrimonio e non riescono più trovare per diversi anni il senso della loro unione.
L’epilogo del film mi ha fatto pensare all’attaccamento. Il protagonista pur avendo il suo compito in Iraq che gli permetteva di svolgere al meglio il suo “ruolo” di salvatore, di colui che aiuta chi è in difficoltà, non riesce a crearsi un altro compito nella vita. Ormai reduce, rimanen attaccato all’unico ruolo che conosce e finisce per esserne annientato