Ho visto ieri al cinema “La vita di Adele”, del tunisino Abdel Kechiche, vincitore della palma d’oro a Cannes. Adele è un adolescente inquieta, alla ricerca della sua identità. Scopre l’amore con Emma e con lei diviene adulta. Le due ragazze di origine profondamente diversa finiranno per separarsi ed ognuna elaborerà a modo suo il distacco.
Interminabili e ossessivi primi piani, dialoghi spesso serratissimi per lo più fatti di contenuti banali a rappresentare il martellante bisogno di dare risposte alle necessità che vengono dall’esterno. L’adolescenza, la ricerca dell’identità permette l’incontro tra due ragazze molto diverse, quasi opposte. Il mondo di Adele, concreto, immediato, fatto di risposte dirette alle proprie necessità ed emozioni, che per potersi esprimere ha spesso bisogno di mentire. Emma viene da una famiglia raffinata, abituata alle forme, frequenta un mondo anche ipocrita, porta con se una complessità che ha bisogno di una continua ricerca della verità e della coerenza per essere gestita. Due mondi che il regista riesce a fotografare in modo preciso ad ogni inquadratura, ogni stacco dall’una all’altra restituisce questa grande differenza. Una volta adulte le due fanno i conti con la necessità di integrare questi mondi opposti e le loro stesse contraddizioni interne. Dalla rottura del loro rapporto Emma elabora le sue contraddizioni ricostruendosi in una vita più adulta dove può integrare le sue necessità pur rinunciando a qualcosa, in sostanza rivisitando il suo modello familiare di provenienza. Adele sembra rimanere attaccata alla passione adolescenziale e dovrà affrontare la sua ricostruzione e definire la sua identità. Il film si chiude lasciando lo spazio a qualsiasi possibilità sul futuro di Adele.