Nell inverno del 1988 in un bosco della Bosnia un gruppo di cacciatori trova un ragazzo che vive coi lupi allo stato selvaggio. Il suo linguaggio è in tutto come quello degli animali e anche il suo portamento è prevalentemente sui 4 arti. Non si sa nulla di lui, viene chiamato Haris e spedito a Belgrado in un orfanotrofio. Dopo enormi difficoltà iniziali pian piano grazie alla cura di qualche compagno Haris comincia a stabilire dei contatti con gli altri e a riprendere sembianze umane. Ma la guerra alle porte lo costringe a tornare in Bosnia dove abbandonato di nuovo troverà rifugio presso un gruppo di militari prima di tornare nei boschi.
Mi è piaciuto ed emozionato molto questo film di Vuk Ršumovic, che racconta questa storia realmente accaduta con grande verità. L’uso della macchina da presa e della fotografia è tutto in funzione della testimonianza dello stato selvaggio in cui il ragazzo si trova e raggiunge una grande potenza espressiva. Ambienti e personaggi sono perfettamente integrati in quella situazione di degrado che è l’ex Jugoslavia degli anni 90. La parabola di Haris è circolare. Dopo essere stato prelevato a forza dai boschi e aver trovato il modo di adattarsi nonostante diversi abbandoni, sceglie alla fine consapevolmente di tornare nei boschi e allontanarsi dalla crudeltà degli uomini.