Appena liberata dall’occupazione nazifascista, Roma vede un gran fermento creativo nelle sue strade. Roberto Rossellini e il suo sceneggiatore Sergio Amidei hanno in mente di raccontare in un film la resistenza dei romani, resistenza che coinvolge tutti gli strati sociali e le idee politiche. Il clima, però, non è dei migliori: la gente vuole leggerezza e i produttori lo sanno bene, inoltre i soldi sono quelli che sono e persino la pellicola scarseggia. Di tutte queste difficoltà Rossellini e Amidei, ognuno a suo modo, dovranno fare virtù.
Carlo Lizzani con la classica operazione del cinema nel cinema racconta la genesi di uno dei grandi capolavori del cinema italiano e del neorealismo: Roma città aperta. Usa scene tratte dal film originale e il bianco e nero di quelle del film che si sta girando. Se il prodotto nell’insieme non riesce a staccarsi dalle stereotipie dei personaggi, indubbiamente giganti della storia del cinema, nell’insieme l’operazione risulta interessante come documento, pur non avanzando nessuna pretesa di verità. In particolare, a mio avviso, Lizzani vuole fare chiarezza su quello che è stato il neorealismo, o almeno sul modo in cui è nato, depurandolo dai falsi miti. L’improvvisazione è legata alle difficoltà oggettive e pratiche più che a un’idea di base. Se la lavorazione procedeva giorno per giorno era per mancanza di soldi o di un produttore, ma, la piuttosto attenta pianificazione alla base, rendeva possibile andare avanti tra le difficoltà.
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