Sulle orme di Flaherty, João Salaviza e Renée Nader Messora ricostruiscono un documentario di finzione, facendo interpretare i personaggi dagli stessi indigeni di cui tratta la storia. Il risultato è una interessante esplorazione di una parte di mondo Indigeno, ancora molto legato alle tradizioni e al tempo stesso profondamente in crisi per via di quella che è ormai una convivenza con la civiltà occidentale. Alcuni degli usi e dei costumi, che nella città che si trova non molto distante dalla foresta sono quotidianità, nella comunità indigena risultano essere un ibrido che è in cerca di una definizione. Proprio l’identità messa in crisi diventa quindi il tema della storia, quella crisi che è emblematicamente rappresentata dal ragazzo, che stretto da pressioni imposte da tradizioni sempre più difficili da seguire e che sempre più appaiono svuotate dal loro significato originale.
Chuva é cantoria na aldeia dos mortos di João Salaviza e Renée Nader Messora
Ihaic è un giovane indigeno che vive nella foresta del Brasile del Nord. Ha solo 15 anni ma ha già la sua famiglia con bimbo piccolo che accudisce insieme alla compagna. Quando muore il padre non riesce ad organizzare un adeguata, secondo rituale, cerimonia funebre, e lo spirito di questo continua ad aleggiare portando ad uno stato di sofferenza il ragazzo. Dopo un tentativo di cura presso lo sciamano del villaggio e una breve fuga nella città, Ihaic torna nella sua comunità e organizza quella cerimoni che consentirà allo spirito padre defunto di raggiungere il villaggio dei morti.
Sulle orme di Flaherty, João Salaviza e Renée Nader Messora ricostruiscono un documentario di finzione, facendo interpretare i personaggi dagli stessi indigeni di cui tratta la storia. Il risultato è una interessante esplorazione di una parte di mondo Indigeno, ancora molto legato alle tradizioni e al tempo stesso profondamente in crisi per via di quella che è ormai una convivenza con la civiltà occidentale. Alcuni degli usi e dei costumi, che nella città che si trova non molto distante dalla foresta sono quotidianità, nella comunità indigena risultano essere un ibrido che è in cerca di una definizione. Proprio l’identità messa in crisi diventa quindi il tema della storia, quella crisi che è emblematicamente rappresentata dal ragazzo, che stretto da pressioni imposte da tradizioni sempre più difficili da seguire e che sempre più appaiono svuotate dal loro significato originale.
Sulle orme di Flaherty, João Salaviza e Renée Nader Messora ricostruiscono un documentario di finzione, facendo interpretare i personaggi dagli stessi indigeni di cui tratta la storia. Il risultato è una interessante esplorazione di una parte di mondo Indigeno, ancora molto legato alle tradizioni e al tempo stesso profondamente in crisi per via di quella che è ormai una convivenza con la civiltà occidentale. Alcuni degli usi e dei costumi, che nella città che si trova non molto distante dalla foresta sono quotidianità, nella comunità indigena risultano essere un ibrido che è in cerca di una definizione. Proprio l’identità messa in crisi diventa quindi il tema della storia, quella crisi che è emblematicamente rappresentata dal ragazzo, che stretto da pressioni imposte da tradizioni sempre più difficili da seguire e che sempre più appaiono svuotate dal loro significato originale.