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Nelle sconfinate distese della Patagonia, tra mare e deserto, un uomo viaggia con sua figlia quindicenne per lavorare come ingegnere a fianco degli argentini che stanno sterminando i nativi. La giovane ragazza interessa a piu d’uno di quello sparuto drappello di uomini che attraversa il deserto, ma lei fugge con un giovane soldato semplice. Il padre disperato comincia una lunga ricerca della ragazza che diventerà via via sempre più una ricerca simbolica ed onirica. Lisandro Alonso usa il mascherino tipico degli inizi del cinema, ferma la macchina che si limita quasi sempre solo ad inquadrare la scena che ha di fronte e con estrema lentezza e rarissimi dialoghi porta avanti il suo viaggio di ricerca. Se la macchina ripete e riproduce il silenzio e l’immobilità, apparente, del deserto patagonico, la fotografia spicca per i suoi contrasti colorati, incide ed è uno degli aspetti più importanti del film. Sfuggendo a letture psicologiche e scegliendo una rappresentazione quasi surreale, l’invito è quello a lasciarsi andare, a perdersi nel deserto, come fa il protagonista e a cercare in questo modo, quelle risposte esistenziale che possono arrivare solo dal contatto con una realtà parallela, fatta di suggestioni e immaginazioni. Perdersi via via nel percorso, abbandonare i rigidi propositi iniziali, avvicina sempre più l’uomo al confronto intimo con sé stesso, un confronto dove le risposte non arrivano chiare e razionali ma spingono a collegamenti simbolici e rituali.

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