In uno specchio d’acqua che non è definito nella sua collocazione, sono ancorate chiatte galleggianti che ospitano piccole case per 1, 2 persone. Molti vanno li a passare la giornata, o periodi più lunghi, accompagnati con la sua barca dalla custode. Pescano, dormono, hanno rapporti sessuali con prostitute, a volte con la custode stessa. Una quotidianeità fatta di essenziale, fin troppo cruda. In questa solitudine ruvida, mancano i più semplici gesti di attenzione tra tutte le persone che gravitano nell’aerea. E basta che uno di loro abbia un pensiero gentile per fare innamorare la custode. Una storia d’amore che sarà cruenta, con le passioni incontrollate che mette in moto, e che porterà comunque ad una trasformazione.
Film di Kim Ki Duk, tra i più belli, con dialoghi ridotti all’osso, una fotografia splendida e le solite imprevedibili trovate del regista. Come molti dei suoi film, sono tanti i temi che vengono messi in campo, con continui riferimenti simbolici che si materializzano ed arrivano a colpire nello stomaco per forza espressiva ed emozionale. C’è’ una storia d’amore che sta ad indicare come l’unica via di salvezza, passi attraverso la possibilità di costruire un rapporto passando attraverso la dolorosa conoscenza, profonda, dell’altro, delle rispettive ferite. E tra queste isole dove gli uomini vanno a trovare rifugio dalle angosce esistenziali è possibile scorgere anche la storia di un individuo, il protagonista, che grazie all’amore di una persona che lo cura, guarisce parte delle sue ferite e diviene guaritore a sua volta, riuscendo ad uscire dall’isolamento in cui la paura, la rabbia e la delusione lo avevano chiuso.